Riverside

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Down by the river by the boats


Where everybody goes to be alone


Where you wont see any rising sun


Down to the river we will run




When by the water we drink to the dregs


Look at the stones on the riverbed


I can tell from your eyes


You've never been by the riverside




Down by the water the riverbed


Somebody calls you somebody says


swim with the current and float away


Down by the river every day




Oh my God I see how everything is torn in the river deep


And I don't know why I go the way


Down by the riverside




When that old river runs past your eyes


To wash off the dirt on the riverside


Go to the water so very near


The river will be your eyes and ears




I walk to the borders on my own


Fall in the water just like a stone


Chilled to the marrow in them bones


Why do I go here all alone




Oh my God I see how everything is torn in the river deep


And I don't know why I go the way


Down by the riverside



Agnes Obel, Riverside

L'ora dei conti

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Il nostro pane quotidiano

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L'esistenza è, per usare una metafora gastronomica stereotipicamente italiana, come un pasto a tavola. Un pasto che è più lungo di uno spuntino, ed è più breve di un cenone. Sul tavolo, vengono serbite pietanze prelibite e piatti disgustosi, in alternanza continua. Non possiamo fermarci di mangiare, dal momento che siamo seduti a tavola e che la tavola è un'istituzione sacra, che va protetta ed onorata. Guai a chi lascia lo scranno, guai a chi rigurgita il cibo, ripugnando i convitati! Che coloro che siedano senza appetito siano esclusi dal consorzio umano dei golosi, che affamati afferrano e ingurgitano e masticano e deglutiscono e ruttano e afferrano e ingurgitano e masticano e deglutiscono e ruttano e...


Il cibo è limitato ma l'appetito non lo è. Sul tavolo della vita il pane è la routine quotidiana, l'acqua è l'insapore necessario, il vino rosso è l'ebbrezza scriteriata e quello bianco è il brio dei giorni festivi. Mangiamo e mangiamo, senza soffermarci sul sapore e viviamo in attesa del dolce, che finisce troppo in fretta. Chi mastica lento e assapora prima di deglutire, vive più a lungo e forse meglio. Forse. Ma che cos'è che si mangia? Noi ci cibiamo del mondo e il mondo si ciba di noi. E siccome noi siamo mondo, noi siam cannibali di noi stessi: la vita è una mandibola distruttrice e rigeneratrice che divora e rigenera implacabilmente il volto della TERRA. Cosicchè il verme viene divorato dall'uccello che viene divorato dall'uomo che viene divorato dal verme che viene divorato dall'uccello che viene divorato dall'uomo che viene divorato dal verme che... Ecco, nel cerchio della vita, in cui tutto viene divorato da tutto, mangiare ed esser mangiati è la nostra maniera per far parte del Tutto. Buon appetito.







Sotto il peso dell'esistere... Noi marciaM!

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Ancora cultura o l'invenzione di un senso

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Senza cultura, ovvero senza un senso, un ordine, un’organizzazione applicata all’esperienza della vita sulla Terra, alla realtà nuda e muta, ogni uomo si trova, metaforicamente, immerso in un’oscurità impenetrabile

Senza cultura, grazie alla quale attribuiamo significato a ciò che accade, l’uomo si trova di fronte a una landa desolata, un’inestricabile labirinto senza pareti, in cui consumarsi, giorno dopo giorno, in un' assurda lotta per la sopravvivenza. La cultura è quella torcia che, generando luce artificiale, ci permette di illuminare ciò che ci circonda; è quel percorso che ci indica dove andare e come arrivarci. Senza un linguaggio non si può comunicare, senza una direzione non si può procedere: senza cultura non si ha possibilità di azione significativa.

La cultura è innanzitutto istanza di senso, desiderio di ordine e di paradigmi saldi e condivisi di verità; essa è ciò che permette all’uomo di legger quel libro bianco o,se preferite, quello schermo nero che rappresenta la sua vita sulla Terra.

Questo soltanto ha permesso al genere umano di avanzare nel cammino della Storia: costruire strutture di senso, di verità, di orientamento dell’azione, per poi dimenticare di averle inventate e, finalmente, agire.

La cultura o "l'urlo dell'uomo di fronte al suo destino"(A.Camus)

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Su quest'isola deserta che chiamiamo Terra, gli uomini non sono che una fra le tante miriadi di specie di esseri viventi. Solo in una cosa l'Uomo si distingue dagli altri animali: la consapevolezza della morte, in cui si imbatte inevitabilmente, nel suo vivere associato. Da questa deriva la necessità di elaborare un senso, materiale e spirituale, all'esistenza, per sfuggire al totale annichilimento della contingenza.

L'elaborazione del lutto, è solo una delle componenti di quello sforzo di trascendimento dell'immanenza della vita materiale che l'uomo compie quotidianamente. Lo sforzo umano, costante e pervasivo, va in direzione del superamento dell'Alterità della Terra, un impresa semantizzante (attribuzione di significato) ed insieme ermeneutica del mondo(orientarsi ed interpretare ciò che ci circonda), che si presenta nel modo più diretto nel Lavoro, inteso nel suo senso primo, ovvero come trasformazione della Natura in Oggetto, vittoria dell'Uomo sul disumano.

Quest'impresa che l'uomo compie per piegare il mondo verso se stesso, per plasmarlo secondo il suo disegno e le sue necessità, possiamo chiamarla cultura.

La cultura, in senso antropologico, diverge dalla sua accezione comune: non si tratta di conoscenze di cui un individuo può far sfoggio, ma della costruzione sociale di un senso, di una rappresentazione del mondo che struttura la relazione centripeta fra l'uomo e l'uomo, insieme a quella centrifuga, fra l'uomo e la Terra.

Naufragio

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Immaginate di dover lasciare tutte le vostre sicurezze, di perdere ogni punto di riferimento, di dimenticare le certezze che ritenevate più salde e vi ritroverete come me, sull'isola deserta.

Un naufragio vi ha costretto ad abbandonare tutto ciò che possiedevate di caro e vi ha lasciato nudi sulla battiggia, inermi ed esanimi, a boccheggiare sulla spiaggia: non resta che l'aria, che inspirate avidamente nei polmoni, e quel palpito costante che alimenta l'esistenza biologica, la vostra tiepida e cara vita. Un corpo e nient'altro, appeso a un filo sottile, alimentato da un flebile soffio. Eccovi con me, ora, sull'isola deserta.

Siete soli, e per sopravvivere nell'ambiente ostile, dovrete farvi predatori per non esser a vostra volta prede. Divorerete o verrete divorati. Dovrete esplorare l'isola, individuare punti di riferimento per orientarvi, per non smarrirvi. Bisognerà, soprattutto, trovare un senso a questa frenetica lotta quotidiana per la soppravvivenza: si dovrà lottare anche per non perdere la speranza. La speranza in un sogno, un'illusione, una distrazione o una sublime invenzione.

Quell'isola si chiama Terra ed ogni naufrago si chiama Uomo.

Ciò che mi ha costretto a fare i conti con le radici della nostra esistenza, sempre offuscate da miriadi di evanescenti fiori colorati, è stata la scoperta dell'Uomo che ho fatto nel corso di quel progressivo naufragio di ogni certezza e luogo comune che si chiama Antropologia.